Villette

Questo ultimo romanzo di Charlotte Bronte è da alcuni considerato il suo capolavoro; da molti la sua opera più matura sia come contenuti che come modernità di scrittura. Villette è il nome di una città immaginaria del continente dove una giovane donna inglese approda “in cerca di fortuna”, si potrebbe dire, se in realtà la sua non fosse quasi una scelta obbligata, intrapresa per la necessità di sopravvivere e per la fuga da un deserto affettivo. “Potrei fare anche la sguattera pur di non fare l’istitutrice in una casa privata” sostiene la protagonista, ripetendo una convinzione già espressa dall’autrice nell’altro suo romanzo, Shirley. Dunque Lucy, la protagonista, decide di impegnarsi come governante in un pensionato e presto diventa insegnante. Il romanzo di formazione al femminile segue così una linea già tracciata negli scritti dell’autrice, anche se i sentimenti, le convinzioni, vengono qui espressi più appassionatamente che nel passato. E se alcune pagine di questo libro sembreranno al lettore pervase di rabbia e pregiudizi contro la chiesa cattolica, “Roma”, i “Papisti”, allora che pensi all'infanzia e alla vita della scrittrice, allevata da un padre che era un severo pastore protestante, scrittore egli stesso di poemetti religiosi, educata, orfana di madre, in un collegio religioso, mortificata nella sua fame di cultura e di esperienze a causa della sua povertà. Forse il lettore potrà allora trovarsi d'accordo con Virginia Woolf nel pensare che “è evidente che la rabbia ha intaccato l'integrità della romanziera Charlotte Bronte; ella ha trascurato la narrazione, alla quale avrebbe dovuto attenersi fedelmente, per dar sfogo a qualche suo personale risentimento segreto;al ricordo di essere stata defraudata della parte di esperienza che le era dovuta, costretta a marcire in un presbiterio, rammendando calzini, quando invece avrebbe voluto girare libera per il mondo. La sua indignazione ha sviato la sua immaginazione e noi percepiamo lo sbandamento… proprio come percepiamo costantemente una certa acredine, risultato dell'oppressione subita, una sofferenza sotterranea che cova sotto la passione, un rancore che contrae i suoi libri, per quanto splendidi, in uno spasmo di dolore.” Ma il libro ripaga il lettore con la sua intensità: l'autrice vi espone la sua anima più completamente che nelle altre opere, e il sapere che quella “felicità terrena” tanto desiderata e appena toccata doveva realizzarsi e svanire prematuramente, per la sua morte, due anni dopo la pubblicazione del libro, rende l’opera ancora più significativa, nel quadro della vita della scrittrice . Non resta che dire, con le sue stesse parole che “Dio ama coloro che sono sinceri” e che il suo obiettivo di essere sincera con se stessa e di “saldare i conti con la propria vita, senza scrivere nella colonna delle gioie ciò che invece va scritto nella colonna delle miserie” è stato sicuramente seguito con dedizione in questo lungo romanzo in prima persona.

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