Grandezza e decadenza di Roma 4 La repubblica di Augusto
La guerra d’Azio, la rovina di Antonio, l’immaginario pericolo di Cleopatra, la conquista dell’Egitto, la restaurazione della repubblica; gli strani, quasi incredibili eventi degli ultimi anni avevano risospinti precipitosamente indietro gli spiriti verso le lontane sorgenti della storia nazionale e i piccoli principî del grande impero. Arcaicizzavano tutti ormai, considerando ogni cosa antica, solo perchè antica, come migliore delle cose presenti: e in politica rammaricavano la grande aristocrazia che aveva governato l’impero sino alla guerra di Perseo: e non solo il costume privato, la famiglia, l’esercito, le istituzioni, la tempra degli uomini parevano essersi via via disfatte, corrotte, impicciolite di secolo in secolo; ma perfino gli scrittori classici, Livio Andronico, Pacuvio, Ennio, Plauto e Terenzio erano anteposti agli scrittori, invece tanto più ricchi e più vivi, della generazione di Cesare: e non per accidente ma per deliberato proposito il Senato aveva pochi mesi innanzi voluto riparare i templi di Roma, prima che le vie dell’Italia, pur esse orribilmente guaste dallo scempio che ne avevano fatte le legioni e dall’incuria dei precedenti decenni.
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«Cesare non fu un grande uomo di stato, ma il più gran demagogo della storia. Egli personificò tutte le forze rivoluzionarie, splendide e orrende, dell'era mercantile in lotta con le tradizioni della vecchia società agricola [...] Allorché egli s'illuse di poter sovrapporre la volontà sua e il suo pensiero a tutte le correnti intellettuali e sociali del tempo, dominandole, egli scontentò tutti ...
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