Nel paese di Gesù (completo)
Un giorno, un’ora, un minuto prima della partenza, tutto il febbrile entusiasmo di chi parte si dilegua. L’egoistico ardore con cui si son fatti i preparativi del viaggio, la gaia fretta che par quasi quella del prigioniero cui sorrida, ineffabile, la libertà imminente, quel vivo sogno interiore che rende un po’ folli gli occhi di colui che deve andar via, tutto svanisce, lasciando al suo posto un dubbio freddo e sterile, una sottile e opprimente angoscia. Dice l’anima incerta: «faccio io bene, ad andarmene? Saranno, poi, veramente belli, fantastici, poetici i paesi dove andrò? Troverò io l’emozione che deve far rivivere il mio stanco e arido cuore? Non furono forse le illusioni dei viaggiatori, l’inquietudine indomita degli umani, la malattia del vagabondaggio, l’insaziata curiosità delle immaginazioni cupide, non furono esse che crearono queste leggende di paesi meravigliosi, questi favolosi racconti di intense impressioni provate? O, peggio, molto peggio, non fu, non è l’avidità complicata e complessa di quanti vivono di viaggio, società di navigazione, società ferroviarie, mercanti, industriali, albergatori, cocchieri, e facchini, che ha organizzato una immensa e deludente burletta? Non è, forse, sicuramente bello, il mio paese, che conosco, che amo, che so sopportare in tutti i suoi difetti perchè lo adoro, il paese che mi sorride, perchè io vi nacqui e perchè lo adoro, il paese che mi ha visto vivere e che, speriamo, mi vedrà morire?»
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