L'aggredito e l'aggressore, forse
Un'accusa contro l'ipocrisia di chi giustifica la guerra.
Un romanzo storico-militare che è anche un romanzo politico. L'accurata ricostruzione storica diventa un atto d'accusa contro le classi dirigenti che fomentano le guerre dei nostri giorni.
Dopo aver letto i primi due romanzi di Alessio Martini, ho letto anche il terzo, non appena è stato pubblicato.
Lo scrittore ritorna a un romanzo storico e militare, sulla scia di Salvare i naufraghi, ma questa volta la presa di posizione politica è chiaramente riferita alle guerre dei nostri giorni ed è un’accusa contro le attuali classi dirigenti.
La cornice storica è rappresentata da tre guerre che segnarono il XX secolo e i protagonisti sono personaggi realmente esistiti, poco conosciuti oppure celeberrimi.
Ma il momento storico non è così importante: i discorsi dei protagonisti, anche se sono ambientati nel passato, si presentano al lettore come un continuo presente. Gli argomenti sono quelli che anche oggi leggiamo sui giornali o ascoltiamo nei dibattiti televisivi e diventano un refrain ossessivo: l’aggredito e l’aggressore, la guerra di difesa che è sempre giusta, le armi sempre più micidiali e distruttive che servono alla pace, il rifiuto di qualunque trattativa diplomatica e di qualunque compromesso, la presunta superiorità morale di una parte rispetto all’altra.
Nel romanzo le odierne narrazioni, messe a confronto con la storia, appaiono come una propaganda menzognera e ipocrita che cerca di nascondere una realtà inconfessabile eppure ovvia: le guerre sono sempre apportatrice di stragi e distruzioni, derivano da ambizioni imperialiste, trascendono in una sequenza di reciproci crimini di guerra. Anche la difesa si può tramutare in una vendetta senza limiti – come a Dresda e Hiroshima - e il rifiuto della diplomazia conduce soltanto a uno sterminio all’ultimo sangue.
Infine, una nota letteraria. Il capitolo centrale, dedicato a Clara Immerwahr è sconvolgente. La scena è un inferno di famiglia alto-borghese, degno di Strindberg; e il suicidio – tema ricorrente in tutti i romanzi dell’autore – è l’unico esito possibile.
Caterina
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