Come mosche sul velluto

3 Marzo 2020.

Una giornata come un’altra, una reperibilità come mille prima di lei.
Mauro Aimi, infermiere d’area critica, classe 79, risponde al telefono durante un pomeriggio
piovoso.
Sarà una reperibilità come un’altra si ripete continuamente, mentre si reca all’ospedale.
Ma quel giorno, i piani non vanno come aveva previsto.
Un virus sconosciuto, estraneo, spaventoso, si affaccia alla nostra quotidianità inaspettatamente,
paralizzandoci. La vita di Mauro e della sua compagna Gessica muterà nel giro di pochi giorni, proprio quando i loro piani sembrava stessero per spiccare il volo.
Improvvisamente, ogni idea di futuro, ogni briciolo di normalità, di una routine oramai scontata e
tanto radicata nelle loro vite da sembrare infrangibile, subisce un cataclisma, una vorticosa rottura
che li colpisce come un uragano in un cielo limpido.
Cosa riserverà loro l’evolversi del Covid-19?
Cosa comporterà tutto ciò?
Quello che nell’immaginario dei più è sempre esistito solo come uno scenario apocalittico da film
di fantascienza, ora entra nelle nostra case, ci infetta nel vero senso della parola, si artiglia ai nostri
corpi e alle nostre menti in maniera sempre più conturbante: la psicosi dilaga, la paura si avventa su
di noi, talmente tanto da renderci estranei persino a noi stessi. Diventiamo nemici, l’uno dell’altro.
E con l’inimicizia, iniziando ad arrivare gli ordini dall’alto, col malcontento al loro seguito. Come
nei tempi di guerra. E mentre i più anziani riaffondano nei ricordi lontani di una guerra oramai finita
ma sin troppo simile alla nostra realtà, i più giovani non hanno idea di come reagire, trovandosi
pietrificati dinnanzi al loro avvenire instabile e traballante.
Il romanzo racconta in prima persona la storia di Mauro e di come vivere questo mostro dall’interno
dei reparti di terapia intensiva lo abbia cambiato e forgiato indelebilmente.
Mauro narra come la paura ha alimentato la sua traboccante voglia di sopravvivere e di essere
d’aiuto per gli altri.

Perché è questo il motivo che l’ha spinto a scegliere questa strada. Salvare vite.

Ed è quello che farà, come non l’ha mai fatto prima, procurandosi cicatrici che diventeranno
memorie vivide e pregnanti nei passi che muoverà alla fine del disastro che lui e molti altri, rimasti
nell’ombra, hanno provveduto a sventare.

“Nessuno di noi sapeva con certezza cosa stesse facendo e con cosa avessimo a che fare.
Era così sbagliato avere paura in quel momento? La paura di fallire è costante e artigliante per
coloro che portano sulle loro spalle il fardello di salvare delle vite umane. Il segreto per non
lasciarsi travolgere e trascinare alla deriva dalla paura, è imparare a conviverci, rendendola
ordinaria. Prendo un bel respiro e mi calmo [...] Ho una paura folle perché mi sono sporcato.
2Ho una paura folle perché non so a cosa sto andando incontro. Ho una paura folle perché sento il
sudore sulla testa che scende giù a fiumi, mi manca il fiato, mi ripeto di restare tranquillo, o almeno
dare la parvenza di esserlo, per non trasmettere anche agli altri il mio stato di preoccupazione [...]
Di che tipo di virus stiamo parlando? Cosa comporterà da qui in avanti? Perchè c’è quest’aria di
allarme imminente intorno a noi? Sarà arginabile? Saremo al sicuro con i mezzi che abbiamo a
disposizione? Saremo in grado di utilizzarli nel modo giusto? Saremo all’altezza nell’affrontare
tutto ciò? Io, colui al quale le persone affidano la loro vita e quella dei loro cari, mi dimostrerò
all’altezza del mio ruolo? Perchè ho scelto di fare questo lavoro? Me lo richiedo, dopo anni di
ordinaria abitudine, in cui ho svolto il mio dovere senza mai domandarmi se potessi essere più
adatto a fare altro.
Ricordo bene perchè l’ho scelto. Fortunatamente, la mia idea non è mai cambiata.
Il mio intero percorso personale mi ha portato a questo punto.”

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