Grandezza e decadenza di Roma 2: Giulio Cesare
I cinque volumi dell’opera furono pubblicati dal 1901 al 1907, e sono incentrati sulla crisi della Repubblica romana che portò al potere Giulio Cesare e poi l’imperatore Augusto. La fluidità della narrazione assicurò all’opera un clamoroso successo di pubblico, anche all’estero, dove fu presto tradotta e ammirata, ma fu stroncata dagli accademici italiani. Lontano sia dagli impianti storici che privilegiavano le vicende politico-militari sia dalla storiografia critica e filologica, e attento piuttosto alle vicende delle classi in lotta, egli costruì una storia sociale e prese a modello il Mommsen, rovesciando però le conclusioni della Römische Geschichte.
Dall’incipit del libro:
Cesare si avventurava in Gallia senza nessun disegno ben definito, con scarsa conoscenza del paese e delle sue genti, con non poca trepidazione. Il caso gli aveva dato il governo delle due Gallie così all’improvviso e all’impensata, nel febbraio dell’anno precedente; egli era stato, tutto quell’anno, siffattamente preso dalle turbolente contese e dagli arruffati intrighi politici, che non aveva potuto informarsi a fondo sulla Gallia, sia leggendo i libri dei viaggiatori, sia consultando i banchieri, i mercanti, gli uomini politici che dalla Gallia narbonese erano in relazione coi Galli liberi. Egli sapeva solo di andare tra genti bellicose, che avevano una volta incendiato Roma, che avevano disputato a Roma con lunghe guerre la valle del Po, che avevano contribuito all’invasione dei Cimbri e dei Teutoni, respinta da suo zio. Nervoso e apprensivo, incline a raffigurarsi come maggiori del vero le difficoltà non ancora provate, nuovamente disposto alla prudenza dopo le audacie del consolato, egli viaggiava veloce da Roma verso Ginevra e i nuovi cimenti, meno tranquillo dentro che non apparisse di fuori, sapendo che, dopo la improvvisa e radicale rivoluzione democratica da lui fatta a Roma, l’anno innanzi, egli sarebbe caduto presto vittima dell’odio implacabile del partito conservatore, se non avesse compiute in Gallia considerevoli e prospere imprese. Perciò egli andava in provincia risoluto ad applicare alla Gallia il metodo di Lucullo: prendere e sfruttare a fondo ogni occasione e ogni pretesto di guerra, per acquistare gloria, per arricchire, per ingrandire, come Lucullo e come Pompeo, l’impero da questo opposto lato del mondo; ma senza sapere ancora chiaramente in qual misura l’impresa fosse possibile e quanti mezzi richiederebbe; senza esser sicuro di avere le qualità militari necessarie; risoluto a procedere sul principio, per tutte queste ragioni, con cautela.
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Si riviveva, alla fine! Da ogni parte la tremenda procella sgombrava l’atmosfera, fuggiva, spariva all’estremo orizzonte; in alto, a destra, a sinistra il cielo si rasserenava, immensi squarci azzurri brillavano, promettitori di pace e di gioia. Tutti, tutti i tormenti della rivoluzione, la tirannide triumvirale, la anarchia militare, la rapina delle imposte, erano finiti; il Senato ...