La regina delle tenebre
Fu come il principio d’un malore fisico, che andò di giorno in giorno aumentando, allargandosi, spandendosi.
Ella era felice in casa sua, e un’altra felicità l’aspettava. Ma per raggiungere la nuova felicità, doveva abbandonare l’antica, e le sembrava che allora il rimpianto della famiglia lontana, della dolce casa paterna, della libertà perduta, della patria abbandonata, le avrebbero dato una indicibile nostalgia, avvelenandole la nuova felicità. C’erano ore nelle quali, specialmente di notte, al buio, ella provava una profonda angoscia, vivendo nel futuro. Allora riapriva gli occhi, guardava intorno la camera soffusa di dense penombre, e pensava:
— No, non lascierò nulla, non abbandonerò nulla, mai, mai!
E allora? E il sogno d’amore da lunghi anni accarezzato? Ah, la felicità presente era incompleta, non era neppure felicità al paragone dell’altra. E in certe ore, specialmente nei teneri vespri di viola, ella si struggeva, come mai, nel desiderio del caro lontano.
Talvolta pensava che la vera felicità poteva essere nel fondersi assieme del presente e del futuro, nel viver assieme allo sposo nella casa paterna.
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