Pedigree (Gli Adelphi)
Pochi scrittori hanno saputo illuminare come Simenon i profondi misteri della piccola borghesia, e soprattutto della sua frangia più pura, quella che lotta testardamente per non cadere nella mera povertà, quella per cui il decoro è un baluardo contro l’umiliazione perpetua. Per questi esseri, fra i quali Simenon è cresciuto, i parenti, le stanze, i vestiti, le chiacchiere dei vicini formano una rete fittissima, che oscura il cielo e grava sulla vita. Quella rete è il pedigree di cui Simenon è stato il perfetto genealogista in tutta la sua opera. Mai però la sua lente si è avvicinata così tanto all’oggetto della narrazione come in questo libro. Qui i dettagli rimangono fissati come nella mente del bambino Roger quando finge di giocare e «contempla il meraviglioso pulviscolo dorato che sale dalla camera e viene come assorbito lentamente, irresistibilmente, dall’aria umida della strada». Così Roger diventerà, senza saperlo, uno scrittore già quella sera in cui, tornando a casa, ritrova «i pochi metri cubi luminosi e caldi della cucina, e tutti al loro posto, rigidi, racchiusi nell’immobilità dell’atmosfera come gli abitanti di Pompei nella lava». Allora, «per qualche istante sente il palpitare di una vita immateriale che è quella della casa, di quella casa e di nessun’altra, percepisce quasi il rodio del tempo».
Diviso in tre parti, "Pedigree" fu scritto fra il 1941 e il 1943. La prima pubblicazione completa è del 1948.
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