Storia naturale della distruzione (Opere di W.G. Sebald Vol. 3)
Nel dar voce a testimonianze oculari di implacabile precisione, Sebald ci conduce nell’epicentro del fuoco distruttivo che incenerì, ad esempio, Amburgo, mettendo a protocollo quell’orrore in gran parte rifuggito dagli scrittori tedeschi: la madre con il cadavere carbonizzato del suo bambino dentro la valigia e la famiglia che sorseggia beatamente il caffè seduta al balcone in un sobborgo risparmiato dall’area bombing; il libraio che tiene sotto il banco e mostra ai clienti di fiducia le foto dei cadaveri accatastati in strada, delle case sventrate, dei cieli in fiamme, e la massaia che lava i vetri dell’unico edificio svettante in mezzo a un deserto di macerie. Il lettore ritrova qui la stessa tonalità dell’opera letteraria di Sebald, la stessa pietas verso uomini e oggetti che ispira tante pagine della sua narrativa.
Così questa cronaca di orrori diventa un contributo a una "Storia naturale della distruzione" (come avrebbe dovuto intitolarsi un saggio del britannico Solly Zuckerman sul bombardamento a tappeto che devastò Colonia): una storia naturale in cui hanno cessato di valere le categorie di libertà e scelta – e tutto si muove insieme come un efferato e inarrestabile meccanismo. Dopo le immani risorse profuse nella costruzione di aerei e ordigni non sarebbe stato infatti concepibile per gli Alleati scaricare le bombe in mezzo ai campi e impedire che cogliessero il loro «naturale» bersaglio: questo sostiene un generale americano a cui non sarebbe certo bastato che un’immane bandiera bianca venisse fatta sventolare sul campanile di una chiesa dagli abitanti di una città-bersaglio. E come immagine allegorica si staglia il bombardamento dello zoo di Berlino, con la visione apocalittica dei pachidermi che bruciano vivi, dei loro corpi smembrati, delle loro urla furiose.
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