Cecco Angiolieri (1260-1312 circa) è una figura centrale della letteratura medievale italiana, noto per la sua lingua vivace, il suo spirito ironico e la sua visione del mondo talvolta cinica e scanzonata. Le sue rime, un insieme di sonetti, canzoni e altre forme poetiche, sono celebri per l'umorismo, l'autocritica e la critica sociale, ma anche per la carica di vitalità e passione con cui affronta temi come l'amore, il denaro, la religione e le contraddizioni della vita quotidiana.
Angiolieri si distingue per il suo stile diretto e senza fronzoli, che spesso sfocia in un linguaggio colloquiale e talvolta volgare, facendo di lui un poeta che parla al popolo, lontano dalle forme alte e sofisticate della tradizione poetica del suo tempo. La sua figura emerge in contrasto con quella di altri poeti più celebri come Dante e Petrarca, che pur condividendo lo stesso contesto storico e culturale, si distaccano dalla visione spiccatamente terrena e provocatoria di Cecco.
In particolare, l'autore si distingue per l'uso del sonetto come forma poetica, con cui riesce a dare voce a un'inquietudine esistenziale che si riflette nei suoi temi ricorrenti: l'amore infelice, la critica alla società e, soprattutto, una visione disincantata e talvolta beffarda della religione e della moralità. Le sue rime, con il loro tono sarcastico e disilluso, invitano alla riflessione sulle ipocrisie e le contraddizioni dell'epoca medievale, ma anche a una ricerca di libertà espressiva e di autenticità in un mondo complesso e in cambiamento.
Il libro contiene un'introduzione sull'umorismo tratta dall'omonimo saggio di Luigi Pirandello (Aonia edizioni).